venerdì 24 ottobre 2014

Arcana imperii, arcana ecclesiae. La tentazione assolutistica tra potere spirituale e potere temporale.  




In un suo scritto del 1955 dal titolo I misteri dello Stato, di cui vi proponiamo qui un estratto significativo, Ernst Hartwig Kantorowicz tenta di rintracciare lo sviluppo storico che ha consegnato alla modernità due “gemelli terribili”, l’uno ecclesiologico e l’altro statualistico.
Entrambi rappresenterebbero l’esito di un’iperbole positivistica, più comunemente nota come “assolutismo”, che assegna all’autorità la dazione e non la semplice custodia della verità. Kantorowicz ferma la sua indagine alle soglie della modernità, senza giungere a considerare l’epoca contemporanea; cosa naturale per uno storico di professione, che oltretutto ha lasciato questo mondo nel 1963. Riprendendo tuttavia la suggestione del grande studioso, sembra potersi intravedere in tale sviluppo una circolarità che troverebbe infine conferma negli esiti contemporanei.
Le molte analisi provenienti da autori legati alla Tradizione tendono a ricostruire l’attuale crisi “conciliare” come effetto di una “unione adultera” tra Cattolicesimo e principi della rivoluzione francese. Sul piano sostanziale questo pare essere effettivamente l’ultimo approdo, anche sotto il profilo ecclesiologico: una Chiesa che si lascia tentare dall’assolutismo democratico.
Tuttavia, pur ammessa in linea generale una osmosi concettuale, non si può con certezza affermare che lo schema cronologico sia sempre e necessariamente questo; che sia cioè sempre e necessariamente il secolo ad anticipare la Chiesa e a tentarla.
Il potere, per quanto necessario, è sempre stato una tentazione anche dentro la Chiesa. Con esso il demonio tentò addirittura Nostro Signore nel deserto: chi siamo noi poveri peccatori, ma i Papi stessi, per non esserne a nostra volta tentati?
E così Kantorowicz ci mostra come l’assolutismo fu mutuato dal potere temporale dopo essersi sviluppato nel potere spirituale, già ben prima dell’ultramontanismo ottocentesco.
Noi possiamo aggiungere, come ulteriore considerazione, che il potere temporale ha ora saldato il proprio debito, sviluppando e offrendo alla Chiesa la tentazione dell’assolutismo democratico.
Un perfetto cerchio diabolico, che non può tuttavia chiudersi fino a soffocare la verità, poiché Verbum Dei non est alligatum e Cristo non abbandona mai la sua Chiesa.
Buona lettura.

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  La formula “i misteri dello Stato”, quale concetto-chiave dell’assolutismo, affonda le sue radici nel Medioevo. Il carattere relativamente recente di questa mescolanza tra la sfera spirituale e quella secolare, risultato delle innumerevoli relazioni tra la Chiesa e lo Stato, è riscontrabile in tutta l’epoca medievale e ha attirato giustamente l’attenzione degli storici. In seguito alle importanti indagini svolte da Andreas Alföldi sulle cerimonie e sulle insegne degli imperatori romani, Theodor Klauser ha analizzato l’origine degli stemmi vescovili e dei diritti derivanti dalla carica vescovile, dimostrando esplicitamente come durante e dopo l’epoca di Costantino i Vescovi della Chiesa trionfante si appropriarono di numerosi privilegi riguardanti le divise e le cariche che nel tardo impero erano stati propri degli ufficiali più alti in grado. Contemporaneamente anche Percy Ernst Schramm ha pubblicato un breve articolo su un tema analogo in cui focalizza l’attenzione sulle influenze tra sacerdotium e regnum. Egli dimostra come all’imitatio imperii della forza spirituale corrispondesse l’imitatio sacerdotii della forza secolare. Schramm ha condotto la sua ricerca giustamente solo fino agli inizi del periodo degli Hohenstaufen. Esaminando gli scambi reciproci – di stemmi, titoli, simboli, privilegi e prerogative – che agli inizi del Medioevo accomunavano principalmente i vertici della sfera spirituale e di quella secolare (si pensi, per esempio, al pontefice con la corona sul capo e all’imperatore che indossa il mitra papalino), egli dimostra che il sacerdotium assunse sembianze imperiali, mentre il regnum acquisì fattezze religiose. Al più tardi agli inizi del XIII secolo, si raggiunse un certo stato di saturazione allorché tanto il capo della Chiesa quanto quello dell’impero avevano l’uno assunto tutte le prerogative essenziali delle cariche dell’altro.
Tuttavia l’influenza tra le due sfere non si esaurì. Cambiarono solo gli intenti poiché nel corso dei secoli il centro di gravità, se così possiamo dire, si spostò dall’autorità personale del Medioevo alle forme collettive dei tempi moderni, ai nuovi Stati nazionali e alle altre comunità politiche. Gli scambi e gli influssi tra la Chiesa e lo Stato non riguardarono più il singolo detentore del potere, ma le comunità. In conseguenza di ciò, alcuni problemi sociologici diedero vita a questioni ecclesiastiche e, viceversa, queste crearono dei problemi sociologici. Sotto l’autorità del pontefice, in quanto princeps e verus imperator, l’apparato gerarchico della Chiesa romana – malgrado alcune caratteristiche del costituzionalismo – dimostrò una tendenza a divenire il prototipo perfetto di una monarchia assoluta e razionale, fondata su basi mistiche. Contemporaneamente lo Stato dimostrava una tendenza crescente a diventare una quasi-Chiesa e una monarchia mistica fondata su basi razionali. In queste acque – torbide, se vogliamo – il nuovo misticismo dello Stato trovò la sua origine e il suo sviluppo.
Per avvicinarci facilmente alla questione, cominciamo con il porci una semplice domanda: attraverso quale canale e quale tecnica gli arcana ecclesiae spirituali si trasferirono allo Stato così da produrre i nuovi arcana imperii dell’assolutismo? La risposta proviene dalle fonti del resoconto che segue e, senza tralasciare la letteratura, l’arte e nemmeno i riti e la liturgia, la nostra analisi è fuori di dubbio legittima. Anzi, proprio le fonti che qui presenteremo chiariranno le nuove forme degli scambi tra ambito spirituale e ambito secolare. Dopo tutto non c’è da stupirsi: i canonisti si avvalevano del diritto romano e lo applicavano, mentre i civilisti si servivano di quello canonico e ambedue i corpi legislativi erano impiegati anche dai giuristi del Common Law. Entrambi erano influenzati inoltre dal pensiero e dal metodo scolastico e dalla filosofia aristotelica; i giuristi di tutte le branche del diritto, ben lontani da una qualche forma di scrupolo e di inibizione, si servivano liberamente di metafore e di similitudini teologiche per avvalorare i propri pareri nelle glosse e nei giudizi ufficiali. Sotto l’impatto di questi influssi tra chiosatori e glossatori canonici e civili – ancora inesistenti agli inizi del Medioevo – nacque la formula dei “misteri dello Stato” che oggi, in un senso più generico, tradurremmo con “teologia politica”. Arguto come sempre, Maitland ha sottolineato una volta con un’espressione del tutto calzante che “la nazione si era messa nei panni del principe”; noi dal canto nostro, pur concordando con il suo ponto di vista, vorremmo tuttavia aggiungere che “questo avvenne solo dopo che il principe si era messo già nei panni del pontefice e del vescovo”.
[…]
Credo che il concetto assolutistico dei “misteri dello Stato” abbia avuto origine da queste stratificazioni della riflessione. Quando la nazione si trovò a indossare le vesti papali del principe, lo STATO ASSOLUTO moderno fu in grado di avanzare pretese allo stesso modo della Chiesa perfino in assenza di un Principe.

  (tratto da E. H. Kantorowicz, I misteri dello Stato, Marietti, Genova-Milano 2005, pp. 187-190 e 221)

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