lunedì 28 ottobre 2013

Il lato apostolico della Chiesa

La dichiarazione rilasciata dal Vescovo di Roma all'intervistatore de la Civiltà  cattolica, letta a distanza di alcune settimane, pone ulteriori questioni particolarmente gravi e urgenti. Diceva infatti Francesco:

"... Poi ci sono questioni particolari come la liturgia secondo il Vetus Ordo. Penso che la scelta di Papa Benedetto sia stata prudenziale, legata all’aiuto ad alcune persone che hanno questa particolare sensibilità. Considero invece preoccupante il rischio di ideologizzazione del Vetus Ordo, la sua strumentalizzazione"


A suo tempo si notò giustamente da più parti che Francesco mutava radicalmente la ratio stessa del Motu proprio Summorum Pontificum. Mentre infatti Benedetto XVI aveva in mente lo sviluppo organico della tradizione liturgica oggettiva e poteva affermare che il VO non fu mai abrogato, e suggerire, seppur in maniera pericolosamente astratta, che le due forme del Rito romano avrebbero potuto arricchirsi a vicenda, Francesco riduce il Motu proprio a "scelta prudenziale" per venire misericordiosamente in "aiuto ad alcune persone che hanno questa particolare sensibilità". Pastorale è la definitività del NO perché si avvinghia all'uomo moderno, al suo autonomo divenire e alle sue esigenze, ed egualmente pastorale è la eccezionalità del VO la cui sopravvivenza si lega a una minoranza di "testardi" e di "pelagiani" che resiste alle "magnifiche sorti e progressive" del popolo in cammino. Della tradizione liturgica (e teologica) oggettiva non rimane pressoché nulla.

Molti si chiesero che cosa intendesse il Vescovo di Roma con "rischio di ideologizzazione" del Motu proprio. Dalla "tenerezza" alla "coscienza autonoma" fino all'omelia di Santa Marta il pensiero di Bergoglio è tutto una autocomprensione e una ricomprensione della Chiesa attraverso successivi chiarimenti e concretizzazioni (quando si arriverà ai fatti, essi godranno finalmente di un sistema e di un disastroso consenso). Così l'omelia di Santa Marta non soltanto ci spiega che gente come Gnocchi e Palmaro è da trattare alla stregua degli evangelici ipocriti e farisei, ma chiarisce anche il senso del "rischio di ideologizzazione"  di cui nell'intervista.

Se "dire preghiere" e passare la fede per l'"alambicco" distillando dogmi e precetti che sono la stessa necessità di quel dire, è ideologia che impedisce l'autentica e inconoscibile sequela di Cristo, ben si comprende che il VO, la stessa tradizione liturgica oggettiva tutta sostanziata da dogmi e da forme, non possa che rappresentare l'incombente "rischio di ideologizzazione". Di qui la necessità di deideologizzarlo, di pastoralizzarlo, di legarlo a una delle tante possibilità della coscienza autonoma, appunto a "una particolare sensibilità" di "alcune persone". Solo riducendo le forme liturgiche tradizionali all'occasionalità di uno stato d'animo si può incontrare, anche attraverso il VO, il "Cristo" della coscienza autonoma.

È in fondo questa la posizione sostenuta illo tempore, seppur con minor carica corrosiva, dai settatori del "biritualismo teorico": "Uno o l'altro rito secondo l'occasione e quello che ci garba. Ma nulla da dire sul NO!". Questi teorici rifluiranno facilmente, come lapsi al contrario, nella negazione zelante del "rischio dell'ideologia". Diverso è il caso dei molti "biritualisti pratici" che hanno scoperto e sinceramente amato il Rito riabilitato da Papa Benedetto XVI. Diciamo "biritualisti pratici" perché intendiamo i sacerdoti che hanno accettato in questi anni di alternare "forma ordinaria" e "forma straordinaria", talora perché costretti dalla contingenza, ma  soprattutto perché hanno creduto nell'orizzonte di una graduale restaurazione delle forme liturgiche di sempre.

Per questi sacerdoti (e per i fedeli che li hanno seguiti) nel "dire preghiere" non c'è nulla di occasionale e l'improvvisa abolizione dell'orizzonte della Tradizione costituisce oggi l'inizio di un tempo tragico. La celebrazione del NO, che fino a qualche mese fa era accettata e accettabile nella prospettiva di un ritorno all'antico, diventa insopportabile proprio perché è cambiata la ratio del Motu proprio. D'altro canto celebrare la Messa antica evitando il "rischio dell'ideologizzazione" significa negarne attivamente la sostanza dogmatica e, in fondo, tradire "il Protagonista" che è la divina realtà di quella sostanza.

Assistiamo già alla tragedia continuata di sacerdoti subdolamente perseguitati, trasferiti dalle loro sedi, esiliati ingiustamente, colpiti con la violenza odiosa dei divieti e delle sanzioni; ci giungono notizie dell'esistenza penosa di coloro che sono minacciati e ostacolati, le descrizioni di ciò che proditoriamente viene fatto ogni giorno contro la celebrazione della Messa antica e la amministrazione tradizionale dei sacramenti. Più raro che mai è l'intervento dei Vescovi a difesa del senso oggettivo del Motu proprio. I fedeli subiscono così un'incessante disfatta, quando un sacerdote è allontanato o un sacramento negato, una sconfitta prima psicologica, perché sanno bene che ora il parametro per giudicare ogni appello sarà quello del "rischio dell'ideologizzazione", e poi reale, poiché o nulla otterranno da giudici  infedeli o, se qualcosa gli sarà offerto, il prezzo sarà spesso quello dell'apostasia ossia dell'esclusione del "rischio".

Assieme alla FSSPX e agli altri istituti tradizionali, questa diffusa compagnia di sacerdoti, di religiosi e di fedeli, di pochi vescovi, rappresenta il lato apostolico della Chiesa, il sostanziale presidio della Tradizione cattolica e dell'ortodossia come lo fu l'Alessandria di Sant'Alessandro e di Sant'Atanasio durante la crisi ariana. Nell'accettazione del "rischio dell'ideologizzazione" si celebra oggi la libertà della Chiesa dalla dittatura della coscienza autonoma e del nichilismo.

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